Liberalizzazioni & (pretesi) liberali

Un mio amico (avvocato pure lui, ma di destra) mi chiede un commento alla recentissima iniziativa del Governo di abolire (fra l’altro) l’obbligatorietà dei minimi tariffari per gli avvocati.
In soldoni: se fino a ora gli avvocati non potevano farsi pagare per il loro lavoro meno di quanto stabilito nelle tariffe ufficiali, adesso questo limite non esiste più.
La questione è vexata assai, e non da ieri; al riguardo, si è detto e scritto tutto e il suo contrario.
Personalmente, non ho nulla da dire, per ora: preferisco attendere che l’intenzione si tramuti in legge effettiva, e che inizi a produrre le sue prime conseguenze concrete; allora, potrò farmene un’idea precisa e decidere se lo ritengo un fatto positivo o negativo.
Fin d’ora, tuttavia, potrei dire che l’abolizione dei minimi non mi tocca granché: tanto, raramente mi è capitato di applicarli.
Con ciò, non voglio dire di essere particolarmente esoso: semplicemente, ritengo che un avvocato dovrebbe farsi pagare per quanto ritiene di valere e — soprattutto — per quanto gli costa finanziare la propria organizzazione professionale.
È chiaro che un sacco di avvocati adesso potranno farsi la guerra a chi chiede il prezzo più basso per una determinata causa: ma quanto realmente si impegneranno per restituire al cliente un servizio di qualità?
Dietro al lavoro di un avvocato ci sono un sacco di costi di cui i clienti o i non addetti ai lavori in generale non si rendono conto: personale dipendente, collaboratori, attrezzature (computer, telefoni, telefax, fotocopiatrici etc.), strumenti di aggiornamento professionale (libri, riviste, banche dati etc.).
Più un avvocato tenga a rendere un servizio qualitativamente eccellente, tanto più dovrà spendere per dotarsi del necessario allo scopo.
E allora, da qualche parte i soldi da spendere per tutto questo dovrà pur trovarli; o no?
È un po’ come i prodotti made in China: costano poco, pochissimo, è vero; ma quanto valgono? Quanto sono sicuri per il consumatore?
Quanto può valere un avvocato che accetta di farsi pagare poco, pochissimo, pur di “vendere” i propri “servizi”?
Qualcosa di buono questa riforma lo mostra fin da subito: se non altro, le mezze calze forensi non potranno più legittimamente pretendere il minimo garantito (che per il loro lavoro era effettivamente troppo).
Piuttosto, le reazioni che l’annuncio della riforma ha scatenato ce la dicono, e lunga, sui pretesi liberali della destra italiana: cioè che il vero liberalismo sta di casa da un’altra parte (mentre a destra sono ancora a rimpiangere il sistema corporativo di ducesca memoria).
Si è anche sentito affermare che le categorie “colpite” dalla riforma Bersani siano tradizionalmente vicine alla destra, cosicché si tratterebbe di una riforma “punitiva e vendicativa”.
Può darsi: se “punisce” le rendite di posizione e “vendica” i consumatori tartassati, ben vengano dieci, cento, mille di queste riforme!
Cribbio, ci voleva un governo di (centro)sinistra per fare qualcosa di (vera) destra!

1 Risposta to “Liberalizzazioni & (pretesi) liberali”


  1. 1 stecca martedì 4 luglio 2006 alle 6:25

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